Coinvolgimento non è ricerca del consenso

Mar 11, 2021 | Individual Trail | 0 commenti

Innanzitutto, questi sono solo appunti, scritti alla buona e di certo non esaustivi. Mentre buttavo giù le coordinate per una lezione, ho pensato che potevano fare da spunto a qualcuno, quindi, eccoli qui.

Coinvolgere significa un bel po’ di cose, ad esempio informare, tenere al corrente, dire il perché, decidere insieme, lasciar decidere, progettare insieme, eccetera. E anche se c’è ancora una larga maggioranza di capi che non coinvolge i propri collaboratori, noi tutti sappiamo per certo che per ottenere adesione e responsabilizzazione proprio questa è la strada principale.

Ad un certo punto però si passa un confine, non sempre semplice da individuare, passato il quale il coinvolgimento diventa ricerca del consenso. Il capo non comunica per far sì che tutti sappiano e si sentano parte, comunica per essere approvato, per avere accettazione. In sostanza, teme di diventare impopolare, sgradito, e comunica per ammorbidire, per essere amico, per la paura di essere contestato, tagliato fuori.

E quindi comunica cose che non dovrebbe, in modi e tempi non confacenti. Solo che in genere non ha chiaro questo timore e senza volere lo maschera con ragioni valide, tipo evitare conflitti e problemi. Aver chiarezza su se stessi in certi momenti non è molto facile, in certi momenti alcune parti più arcaiche di noi prendono il sopravvento e ci sembrano adulte anche se non lo sono.

Di solito perciò, il confine tra coinvolgimento e ricerca del consenso viene attraversato quando ci sarebbero da mettere in pista azioni controverse, utili per una parte e penalizzanti, o percepite come tali, per l’altra. Spesso il conflitto non è su cose tangibili, risorse, budget, metri quadri, cose così, è incentrato su orgoglio, anzianità, equità, aspetti più ‘morali’ che pratici, o almeno è così quando lo intercetto io.

La scarsa competenza emozionale che in genere è parecchio diffusa tra chi dirige probabilmente sta alla base del problema, produce scarsa chiarezza sulla propria motivazione e su come gestire le reazioni degli altri.

Se con la mia decisione deludo qualcuno, ad esempio, e so di farlo a fin di bene, so sopportare l’impopolarità che questa azione mi causerà, non la temo, e so aiutare l’altro a metabolizzare l’accaduto. Il punto non sarà convincerlo con la dialettica, con la validità delle mie ragioni che per lui, o lei, valide non sono, il punto sarà contenere e riportare in prospettiva le sue emozioni.

 Di capi che sanno fare questo ne conosco pochi e anche io, se fossi coinvolta direttamente, farei certo fatica. Però con qualcuno abbiamo individuato bene dove sta il confine, coinvolgere è una cosa, cercare amicizia e accettazione è un’altra.

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