Questo è un Mini blog di viaggio, in tre paragrafi e due fotogallery. Dal 29 luglio all’11 agosto 2022 sono stata in India, a Delhi solo di passaggio e in Ladakh, per un trekking che ha toccato i 4.960 metri di altitudine. Sette giorni in cammino e circa 90 chilometri di salite e discese, notti in tenda sotto alla volta di stelle, aiutati da cavalli, cuochi e una guida..
Non è lavoro, è un momento della mia vita che sono felice di condividere qui.
Dal pezzetto piccolissimo che ne ho attraversato, l’India è un luogo di opposti. Contraddizioni lontanissime, accostamenti assurdi. E sta tutto insieme in un caos coagulato, che alla fine da un inspiegabile senso di armonia. Come una gigantesca metafora di noi umani, che siamo tutto tutto insieme, conteniamo incoerenze profonde e comunque in qualche modo funzioniamo.
Ecco le mie impressioni, nessun’altro obiettivo o pretesa, dopo quattordici giorni di viaggio, in aereo, bus, jeep, tuk tuk e più che altro a piedi.
Degli infiniti opposti, ho in mente soprattutto una coppia che ha fatto da perno durante il mio giro. Il rumore e il silenzio.
Il rumore è fastidio, per cominciare. Rumore continuo e assordante, di traffico, clacson, macchinari, martelli, sirene, motori, grida. Richiami, preghiere dall’altoparlante, annunci dei venditori.
Il rumore è movimento. Nemmeno a notte fonda è tutto fermo, c’è sempre qualcosa che si sposta. Andare, correre. Solo qualcuno, immerso nel caos, dorme tirato lungo sul marciapiede e sull’aiuola. Spero che stia dormendo.
Il rumore è colore, colori che scorrono, si agitano, cambiano. Colori su muri, stoffe, insegne, ceste, pacchi, il colore esplode dalla terra fino al cielo, che invece è una cappa uniforme.
Il rumore è odore, di smog, di pietra, d’erba secca. D’umido, d’afa. Il rumore è caldo, rovente, rombante. È cibo speziato, succoso, fornelli accesi lungo le strade.
Il rumore è città, gente, folla, calca, ingorgo, ammasso, scansare, combattere per ogni centimetro. Chiacchierare, cantare, commentare, spettegolare, discutere, giocare.
Solo il grande spazio verde intorno alla tomba semplice di Gandhi fa eccezione. Un giardino quieto nel mezzo del flusso incessante.
Dopo un po’, la sensazione è di super stimoli, bombardamento. È bellissimo e pieno e ricco e inconoscibile e troppo.
Il silenzio
Il silenzio è grande, vasto. È altezza e leggerezza. Sussurro di vento e flap di bandierine. Il silenzio è per lo più fresco.
Il silenzio è polvere, un materasso che assorbe il rumore dei passi. Il silenzio è fatica, salita, un micro passo dopo l’altro.
Il silenzio è isolamento. Non c’è nessuno lassù, tre o sei persone incontrate in un giorno intero di cammino, dieci abitanti in un villaggio, visto uno, gli altri chissà.
Nel silenzio il cuore martella, il polmone cerca ossigeno, il respiro è nelle orecchie.
Il silenzio è un uovo sodo e una patata bollita per pranzo, con condimento di nuvole viola fino all’ultimo orizzonte.
Il silenzio è una volta di stelle profonda come mai, che si copre improvvisamente di nuvole e subito si scopre, squarciata dai raggi della luna crescente.
È il suono di parole remote, Ganda La, Prinhikit La, Dumk Dumk Chen La, Ichonskit La. Lokbhushan, Taresh, Norbur. Šukriya, cioè grazie.
Il silenzio è la cerniera della tenda, il metallo della tazza di tè. Il silenzio è il fruscio del rivolo d’acqua, la cascatella per lavarsi.
Il silenzio è nel gesto gentile, nello sguardo di contatto. Il silenzio è pace, tra le persone e con il pianeta.
Dopo un po’, la sensazione è di libertà, immersione naturale. È bellissimo e semplice e commovente e a volte è troppo poco.
Le parole scelte e gli attimi di vita dipinti con il tuo click, creano una danza tra due amanti in armonia con il creato. Šukriya.
Simo, hai proprio colto il bello di quella terra, la promiscuità, il rumore, il silenzio, la spontaneità e l’armonia dei paesaggi. Sono molto contenta del tuo viaggio e del tempo che ti sei dedicata, grande. Grazie anche delle belle foto, i volti delle persone sono sempre molto toccanti. A presto