Ho incontrato una persona che non voleva usare la parola disagio. Quando l’ho detta io ha cominciato ad agitarsi sulla sedia, a guardare in qua e in là. E poi mi ha risposto, ma no… via… non è disagio… è solo un problemino. Un tipo minimalista, insomma.
E così ho pensato alle tante persone che non lo ammettono, nemmeno a se stesse, di essere a disagio. Sul posto di lavoro, nel loro ruolo o con i colleghi, i superiori. Probabilmente perché ammetterlo vorrebbe dire prenderlo in carico, il problemino, e non sanno cosa fare, o non pensano di poter fare niente.
Dis-agio, la parola è chiara, non essere a proprio agio. Del tutto a nostro agio forse non lo saremo mai o solo in pochi momenti, ma disagio significa che il dis-comfort, come direbbero gli inglesi, è più alto del solito. E anche se lo ignoriamo le conseguenze ci sono, emozionali, relazionali, a volte fisiche. Sicuramente ci sono conseguenze prestazionali, che è poi la ragione per cui le aziende mi chiedono di intervenire sul disagio. A volte anche perché tengono alle persone, ci sono anche queste aziende.
Riconoscere che da un livello di minimo disagio fisiologico siamo passati, magari da tempo, a un livello più intenso e spesso logorante è il primo, necessario passo. Definire che il problema esiste, e certo, prima che sia drammatico. Con il termine disagio non si intende disperazione, depressione, catastrofe. Definire che il problema c’è e avere la fiducia che si può far qualcosa per migliorarlo. Senza partire a bomba, non ce n’è bisogno, ma senza minimizzare.
Va bene anche una certa tolleranza, una certa resilienza serve, sul lavoro e nel privato. Quindi sono d’accordo col tipo di ieri, non drammatizziamo. Ma non abbiamo nemmeno paura di agire. Cercare di stare meglio, di stare a nostro agio, non è un obiettivo secondario, al lavoro passiamo le ore migliori della giornata e gli anni migliori della nostra vita. E stare meglio non è impossibile.
Se sei a disagio prendine atto e considera che esistono strumenti per affrontarlo. C’è il counseling, e ci sono molte altre strade. Servono a focalizzare il problema, a delimitarlo e spezzettarlo per capire, e soprattutto servono a trovare le possibili vie di uscita. Non c’è qualcuno che ti dice cosa fare, ci mancherebbe, ma ci sono persone e pratiche in grado di aiutarti mentre ci arrivi. Di accelerare un processo evolutivo, che il disagio innesca. Un cambiamento di prospettiva, una apertura di opzioni. Che in fin dei conti non è poco.
PS Ho parlato del disagio sul lavoro perché è quello di cui mi occupo più spesso, ma gli stessi strumenti si utilizzano benissimo anche per la vita personale.
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