La vicenda coraggiosa di una ristrutturazione di successo
L’Amministratore delegato l’aveva presa larga. Quando era nata l’organizzazione, di cosa si occupava, valori, parole chiave. Il servizio, il cliente. Accennava a qualche difficoltà, il mercato che si faceva meno ricco, nuovi concorrenti e più aggressivi. Io ascoltavo, volevo vedere dove andava a parare.
Quando mi aveva mostrato l’organigramma il punto si era fatto chiaro, su 92 dipendenti 37 avevano un ruolo da Responsabile. Di poco o niente, in effetti, chi comandava lì erano in tutto tre persone. Ma ruolo, livello e retribuzione l’avevano. All’epoca era sembrata una buona strategia, disse lui, premiavamo i meritevoli, creavamo responsabilizzazione. Solo che adesso i margini non ce lo permettono più. Sospirò dolorosamente, o ristrutturiamo o niente, affondiamo.
Gli offrii esperienza, appoggio e schiettezza. Lui accettò e ci mettemmo al lavoro.
Per prima cosa sfrondare
Per prima cosa sfrondare. Disegnammo insieme una struttura organizzativa semplice e idonea alle loro esigenze, dove i capi erano in tutto nove, quelli che servivano in sostanza. L’Amministratore delegato la vedeva bene, così sarebbe stato bello lavorare. E contemporaneamente stava sulle spine, in teoria ok, ma per portare quel disegno dalla carta all’azienda bisognava passare dalla seconda fase, Scegliere.
Chi scegliere, o meglio, chi tagliar fuori?
Chi scegliere per le nove posizioni di responsabilità? O, più propriamente, chi tagliar fuori? Quel passaggio doveva fondarsi sulla maggiore obiettività possibile, questo l’Amministratore delegato ed i suoi due fedelissimi l’avevano ben chiaro. Ma non è facile essere obiettivi verso persone che lavorano con te da una vita.
Stilammo così una lista di requisiti, il profilo ideale. E poi, persona per persona, confrontammo quel profilo coi 37 responsabili, lasciando a margine le considerazioni su famiglia, sentimenti, amicizia. Discutemmo non poco. Uscivano dal seminato, si smarrivano perché essere completamente onesti temendo di nuocere è difficile. Avevo promesso schiettezza e volevo mantenere il mio impegno, così tutte le volte glielo dicevo, stai sbagliando. Era dura, per entrambi, comunque lui era un dirigente serio e onestamente coinvolto, e si arrivò a individuare le 9 persone.
E quella non era la fase peggiore
Era sembrato lo scoglio più grosso, ma niente affatto. Ora bisognava parlare con gli esclusi, i retrocessi o come li si voleva chiamare. E bisognava portarli a firmare il demansionamento senza che perdessero del tutto la motivazione. Ripercorremmo per l’ennesima volta la lista, nome per nome studiammo una strategia di compensazione. Non economica, non ce n’erano le possibilità, ma legata a sede ed orario di lavoro, compiti, attività e progetti assegnati, formazione, incarichi temporanei, insomma tutto quello che si poteva mettere in campo.
Un grande giorno
Fu un grande giorno quando l’Amministratore delegato mi telefonò per dirmi che aveva concluso positivamente la ristrutturazione. Avevano tutti accettato il nuovo incarico, con rabbia o sgomento, ovvio, ma nei limiti. Era soddisfatto, sentiva di aver tenuto fermo il timone della sua organizzazione durante una navigazione molto turbolenta. Per la prima volta da mesi, mi disse, quella notte aveva dormito.