Sto leggendo 4 3 2 1, un romanzo di 1.070 pagine, di Paul Auster, uscito nel 2017. Mi piace molto, ma non è questo il punto, è la quantità. Di pagine, di parole, frasi lunghe una pagina, dialoghi, dettagli. Tutto quello che oggi viene considerato di troppo, e invece è un meraviglioso racconto. Certo, scritto da chi sa farlo.
Il punto è che nella nostra vita sincop-fast-social le lenti attraverso cui in gran parte vediamo e raccontiamo la realtà, ovvero scrittura e immagini, sono super contratte. Due righe, dieci secondi, persino le canzoni e la musica durano la metà di un tempo. L’accostamento di tutti questi frammenti produce il noto spezzatino. E non ho niente contro, ma non mi convince che ci sia solo quello. Che l’unico modo per comunicare noi stessi, il nostro lavoro e le nostre vite, debba essere mini.
Sto lavorando a semplificare ed accorciare la mia comunicazione, vedo i vantaggi di un messaggio snello e veloce. Contemporaneamente ricerco modi e luoghi dove recuperare la possibilità di soffermarsi, o il lusso, se vogliamo. La calma di restare su un punto, un tema.
Intanto sono a pagina 733 del romanzo e già mi dispiace che vado verso la fine.

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