Com’era? Colpirne uno per educarne cento, brutta citazione. Stamattina riflettevo che io cerco di educarne cento per farne cambiare (almeno) uno, almeno un po’.
La vicenda del covid-19 ci ha insegnato che il cambiamento più profondo e diffuso avviene a balzi, spacchi e traumi, sulla spinta del bisogno. Ce l’ha insegnato la pandemia o… ripassato, che lo sapevamo già. Il cambiamento epocale e macro in genere non è graduale (e per questo spaventa e angoscia). Poi da quel balzo esce qualcosa che ha in sé i tratti del dramma e insieme quelli dell’innovazione, del miglioramento. Ad esempio, è dagli anni ’70 che si fanno convegni sul telelavoro – o smart working, non era mai successo niente su larga scala. In tre, quattro settimane la scorsa primavera è avvenuto, con buona pace dei convegnisti.
Visto che da trent’anni e passa lavoro sul cambiamento graduale, insomma, due domande me le faccio. A che serve? Lascio stare?
No, non penso di mollare. Perché ok, lavoro sul micro, aiuto una persona a cambiare in meglio, ad avere più leadership ad esempio. Magari in quel gruppo ce n’erano quindici e tutte le altre hanno ascoltato, magari anche apprezzato ma poi son rimaste tal quali. Ma quella persona, una, creerà intorno a sé un luogo di lavoro migliore, un clima di coinvolgimento e rispetto, di impegno e collaborazione, di fiducia e orientamento al risultato (pure in smart working), una luce nell’oscurità. Allora per me, che ho l’ambizione di cambiare il modo un passo alla volta, ne è valsa la pena.
E come il cambiamento per crisi e traumi, anche quello per consapevolezza e impegno personale può essere veloce. Una persona ci dice una cosa che accende una luce e in quel momento cambiamo, da quel giorno agiamo (almeno un po’) diversamente.

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